Ponte sul Caffaro

È questo un luogo storico che ha marcato per secoli un confine di guerra e di pace: tra la Repubblica di Venezia e il Sacro Romano Impero, che poi ha visto di qua dal ponte il Regno d’Italia napoleonico fino al 1815, quindi il Regno Lombardo veneto fino al 1859 e infine il Regno dell’Italia unita fino al 1918.

Oggi il ponte collega le due regioni, Lombardia e Trentino-Alto Adige.

Un tempo era in legno, un po’ più a monte di quello attuale, abbastanza solido per lasciare transitare i carri, i cavalli e le persone.

Travolto da una piena nel 1882, è stato sostituito da un manufatto in ferro delle Acciaierie di Vobarno, con una portata massima di 15 quintali, inaugurato il 26 novembre 1884 e, poiché gli austriaci rifiutavano di partecipare alla spesa per metà, interamente pagato dagli italiani.

Come tutti i ponti, anche questo unisce e divide: all’epoca medievale delle liti tra Bagolino e i conti di Lodrone, il passaggio sul fiume Caffaro costituiva il pretesto per scontri e contese, tanto che nel 1724 i Lodrone sfidano Bagolino chiudendolo con un portone in pietra.

Nell’estate 1848 si avvicina al confine austriaco la colonna dei patrioti volontari provenienti da Milano, da Brescia e da varie parti della penisola. Il ponte assiste a un breve scontro armato, ma alla fine della campagna militare gli austriaci restano dov’erano fino alla seconda guerra d’indipendenza nel 1859.

Con la proclamazione del Regno d’Italia il 17 marzo 1861, gli austriaci restano di là, a Lodrone, e gli italiani di qua, a Ponte Caffaro, per assistere nell’estate 1866 al passaggio delle camicie rosse di Giuseppe Garibaldi, in marcia verso Trento e vittoriosi a Bezzecca.

Si ritireranno poco dopo e nessun soldato italiano passerà il ponte, fino al 24 maggio 1915 quando transiteranno le formazioni di alpini e bersaglieri, in un rinnovato tentativo di raggiungere Trento. Alla fine della Grande Guerra il ponte sul Caffaro diventa interamente italiano, com’è adesso, benché le sue travagliate avventure non siano concluse.

Ponte Prada

Quando la piana tra il Caffaro e il Chiese era una palude inospitale, la valle Sabbia e le valli Giudicarie erano collegate da una strada che passava per Bagolino e varcava il Caffaro in località Prada, dove sorgeva il ponte in pietra costruito nel 1301. Lì i forestieri pagavano il dazio sul legname, lì i viandanti pregavano davanti alla santella.

Il ponte crolla il 22 aprile 1805 e viene ricostruito nel 1807, restando la via d’accesso dal fondo valle a Bagolino (è stato restaurato nel 1992, a cura dell’associazione Habitar in sta terra).

Dopo il ritorno degli austriaci in valle Sabbia nel 1815, dopo anni di carestie, inflazione e povertà, il governo progetta un’ondata di lavori pubblici nell’area. Il viceré Ranieri presenzia alla posa della prima pietra, in una memorabile visita a Bagolino. Il nuovo ponte, collocato a monte, sarà inaugurato il 27 luglio 1823.

Resiste fino al 1980-81, quando gli viene affiancato il ponte in cemento che serve tuttora a raggiungere l’abitato di Bagolino.

Ponte di Romanterra

Così piccolo e quasi nascosto, il ponte in pietra di Romanterra non rivela quanto sia stato importante nel passato e quanto lo sia nel presente. Già il nome rivela che nell’antichità romana consentiva l’accesso a Bagolino quando la strada passava nel fondo valle, vicino al Caffaro e si tramanda che fosse usato in epoca longobarda. L’attuale manufatto risale al secolo XVI.

A quei tempi transitava sul ponte chiunque arrivasse a Bagolino dal lago d’Idro, ma anche chi percorresse la via per Brescia attraverso il passo della Berga. Era quindi il principale nodo di collegamento del borgo con il resto del mondo.

Durante la guerra mondiale (1915-1918) si è reso prezioso per i transiti delle truppe e del materiale bellico verso il passo della Spina e verso il forte di Cima Ora, muniti fin dall’inizio del secolo per resistere a un’eventuale avanzata austriaca dalle Giudicarie verso la Rocca d’Anfo. Durante l’occupazione nazifascista nella seconda guerra mondiale (1940-1945) era presidiato dai militari tedeschi contro eventuali passaggi di partigiani che operavano nella valle.

Da allora il ponte di Romanterra assiste a passaggi più pacifici, quelli dei visitatori del Chiodo d’oro, dei camminatori verso il passo della Berga, degli arrampicatori alla chiesetta di San Gervasio e Protasio, degli abitanti delle cascine in località Plàs.