LE TRADIZIONI

Le tradizioni locali sono come tanti fili colorati che si intrecciano: il Carnevale con la musica e la musica con la liuteria; gli strumenti musicali raffigurati nelle pitture e fabbricati in casa; i dipinti sacri e le decorazioni multicolori delle case; le case dell’abitato e le cascine di montagna. Il dato comune di tutto questo è l’operosità antica della popolazione: il formaggio bagòss, che insieme al Carnevale è vanto del paese, è il prodotto di un faticoso lavoro nell’allevamento bovino, così come il formaggio di capra; nelle stesse cascine si bruciava il legname dei boschi per produrre il carbone che alimentava il forno dal quale usciva il ferro; gli orti, il fiume e il lago, insieme alla caccia, portano sulle tavole il cibo quotidiano e le specialità della festa: dalle trote allo zucchero amaro, dalla cacciagione ai malfatti.

L’acqua, ricchezza naturale della valle, scorre e sposa le attività tradizionali e quelle moderne: alimenta la piscicoltura, irriga le terre, è usata per produrre energia elettrica; è servita a tavola nelle bottiglie dell’acqua Maniva. Il legno dava lavoro agli artigiani sia per fabbricare utensili sia per creare sculture; è tuttora largamente usato per riscaldamento. Il ferro era esportato, generando in età moderna la prosperità di Bagolino, che nel secolo XVI era il terzo comune per popolazione della provincia, dopo Brescia e Chiari, ed è tuttora impiegato nell’edilizia e, insieme ad altri metalli, nell’artigianato artistico.

A sostenere l’esistenza faticosa dei secoli passati, la religione cattolica pervadeva e pervade tuttora Bagolino, con un momento culminante nel culto della Madonna di San Luca, celebrata ogni cinque anni con una formidabile partecipazione collettiva, segno di un forte sentimento di comunità .

Il Carnevale

Il Carnevale di Bagolino è un evento della comunità, prima ancora che un’attrazione del turismo culturale.

Soltanto negli anni Settanta del Novecento è stato scoperto dagli studiosi del folklore, meravigliando per l’integrità e la complessità delle musiche e delle danze che vengono eseguite nelle vie del paese, con assoluta fedeltà a una tradizione esclusivamente orale, davanti alle case. In quelle case abitano i destinatari dell’omaggio offerto da un gruppo di suonatori e di ballerini in costume.

Il lunedì e il martedì di Carnevale, dalle prime ore del mattino le compagnie dei ballerini animano le strade, eseguendo i ventisei balli del repertorio, accompagnati da violini, basso a tre corde, chitarre e mandolino. Né il gruppo dei suonatori né quello dei ballerini costituiscono un’associazione veramente stabile e le danze non si eseguono mai fuori dal Carnevale.

I ballerini, tutti uomini, sono mascherati e indossano un caratteristico cappello rosso arricchito da un fiocco di sete multicolori. Ogni cappello è impreziosito da vari monili d’oro, cuciti sulla calotta e sulla tesa da abili mani di donne; sono il prestito di mogli o fidanzate, che saranno ringraziate con il ballo che ogni ballerino sceglie e che la compagnia eseguirà per lui.

Un’altra componente presente nel Carnevale di Bagolino, è l’espressione del vecchio mondo agricolo e pastorale: le maschere. Libere e spontanee si muovono nelle strade, figure mascherate un po’ inquietanti, che indossano abiti tradizionali, interpretando un vecchio o una vecchia, senza una precisa regola da rispettare; ai piedi portano grossi zoccoli chiodati, gli sgàlber, che trascinano sul selciato con forte rumore, si avvicinano dispettosamente allo spettatore parlando in falsetto.

Non c’è complementarità fra i ballerini, i balarì, e le maschere, i màscher, non c’è un rapporto tra “belli” e “brutti”, che si ritrova in molti carnevali; sono due realtà che convivono e danno luogo a una festa che, elemento importantissimo, coinvolge tutti gli abitanti di Bagolino.

Nell’archivio storico del Comune, fin dal Cinquecento, molti documenti menzionano il Carnevale: compagnie nostre e dei paesi vicini, maschere, divieti, multe etc. È significativo che a metà del Settecento, il medico e scrittore Carlo Buccio, storico di Bagolino, consegnasse alla carta queste parole: «Ardirei dire, non esservi Paese che più esulti e goda de’ carnevaleschi tripudi». Dopo quasi tre secoli questo è ancora vero.

Il Carnevale di Ponte Caffaro

Ponte Caffaro, frazione di Bagolino, è un paese giovane che fino alla metà dell’ottocento era abitato da duecento persone. Nel 1863 il Comune fece una lottizzazione del Pian d’Oneda, antico nome della pianura di Ponte Caffaro, e donò questi lotti a 240 famiglie bisognose perchè li bonificassero e li coltivassero. I bagolinesi, che scesero a coltivare i campi, si trasferirono pian piano in zona e il paese continuò ad ampliarsi fino ad arrivare ai circa 1600 abitanti attuali. Nei primi decenni i nuovi caffaresi si recavano a Bagolino per fare il carnevale ma dopo la prima guerra mondiale si riuscì a formare una compagnia autonoma di ballerini e da allora si è sempre ballato anche a Ponte Caffaro.

L’antico rituale, i ricchi costumi, la coreografia dei balli, le mascherate, la partecipazione e il coinvolgimento di tutta la comunità sono uguali a quelli del capoluogo, mentre una differenza notevole è invece data dalla diversa struttura dei due centri.

A Bagolino, antico borgo di montagna il Carnevale si svolge nelle strade, piazze e stretti vicoli che caratterizzano il centro storico di impianto medievale mentre a Ponte Caffaro, paese di pianura, si svolge nelle strade del nucleo più popolato e nelle case sparse della campagna soleggiata che si affaccia sul Lago d’Idro.

Un altro elemento distintivo si può cogliere nelle sfumature esecutive delle musiche, diverse fra i due paesi, dovute alla trasmissione orale e quindi allo stile e interpretazione delle diverse famiglie o gruppi di suonatori.

Meritevole di menzione anche l’importante lavoro di ricerca svolto negli anni settanta e ottanta da un gruppo di appassionati protagonisti del Carnevale di Ponte Caffaro che attraverso interviste e incontri con vecchi suonatori locali ha consentito il recupero e la reintroduzione nel repertorio del Carnevale di entrambe le comunità di otto sonate rituali e due monfrìne che non erano più eseguite.

La festa della Madonna di San Luca

La Madonna con il suo regale mantello rosso e il bambino abbigliato in oro e rosso regnano sovrani nel terzo nicchione a sinistra della parrocchia di San Giorgio, incorniciati dalla sontuosa soasa dorata dell’altare del Rosario.

La corona sulla testa della Madonna e quella sulla testa del bambino sono state aggiunte nel 1926, grazie alla generosità dei bagossi che hanno donato l’oro. Le scritte in greco indicano: Madre di Dio e Gesù Cristo.

Quella esposta al pubblico è una copia, mentre l’originale è ben custodito altrove. Si tratta di una tempera su tavola, forse in legno di cedro del Libano, un dipinto che riveste un valore inestimabile da secoli, nutre e conforta la devozione degli abitanti di Bagolino.

Non è documentato l’arrivo a Bagolino del dipinto, ma parecchie leggende hanno raccontato nel corso del tempo fatti diversi: una di queste tramanda che sia opera dell’evangelista Luca il quale, secondo una tradizione cristiana, sarebbe stato il primo pittore di immagini sacre raffiguranti Gesù Cristo e la Madonna. Forse il quadro è opera della scuola cretese di Nikòlaos Tzafouris nel tardo XV secolo (Creta era all’epoca dominio veneziano, come Bagolino).  

È meno credibile, dato lo stile del dipinto, che sia stata portata dal Levante da quel Silvestro di Lodrone che aveva partecipato alla prima crociata nel 1095, per collocarla nel castello di Bagolino poi distrutto. O forse la Madonna ha raggiunto la valle del Caffaro per iniziativa di quegli stessi bagossi che, al seguito del Lodrone, l’hanno portata in patria come bottino di guerra? O ancora è pervenuta grazie ai reduci bagossi della battaglia di Lepanto del 1571?

Alla Madonna di San Luca, che era stata condotta per la prima volta in processione nel 1622, in coincidenza con l’inizio dei lavori per la costruzione della nuova chiesa, sono attribuiti parecchi miracoli: a parte quelli privati, che non sono passati alla storia, tra i più , quello del 1848, quando i soldati austriaci, che avevano occupato l’abitato, lanciavano oggetti incendiari dal portico della parrocchia per mettere a fuoco le case, ma subito scoppiava una pioggia salvifica, benefica opera della Vergine stessa.

Nel 1915, durante la Grande guerra, la popolazione chiedeva di essere risparmiata dai bombardamenti, un’eventualità tutt’altro che remota visto che i cannoni del forte di Cima Ora erano puntati proprio sull’abitato di Bagolino, pronti a sparare nel caso fosse occupato dagli austriaci. E il borgo è stato risparmiato.

Quel che resta, dopo evocate le leggende sull’origine del quadro e l’enumerazione dei miracoli, è la sentita devozione, che si dispiega in pieno intorno al dipinto della madonna di San Luca ogni cinque anni, durante le feste e celebrazioni di settembre. È una tradizione che porta la data del 1986 e coinvolge tutti, laici e religiosi, adulti e bambini.

A concludere i festeggiamenti si snoda una processione, con il dipinto portato a spalla per le strade, che da giorni si sono vestite a festa: porte, finestre, portoni, cancelli, fontane, ogni angolo del borgo rende omaggio a Maria e al bambino Gesù con un tripudio di fiori, addobbi colorati e luminarie. È una delle feste più solenni della comunità.

Il canto nella Valle del Caffaro

Il canto è stato da tempi remoti un modo per divertirsi senza bisogno di nessuno strumento. Bastava la voce. L’amore per la musica accomunava tutti gli abitanti di Bagolino e anche il canto era una necessità e un divertimento. Era un canto di gruppo, la gente non voleva stare ad ascoltare una persona che canta da sola, voleva partecipare, essere protagonista; la coralità è stata ed è ancora fondamentale per la nostra gente.


Si cantava in casa, all’osteria, per le strade, di giorno, di notte e anche quando si lavorava. Così il canto spontaneo, che scandiva i cicli della vita e dell’anno del mondo contadino, è arrivato integro fino agli anni Cinquanta del Novecento.

I canti tramandati oralmente dalle famiglie canterine, da uomini, donne, contadini, emigranti, dagli avventori delle osterie, dalle persone che passavano le serate in stalla, dalle mamme che cantavano per i loro figli, dai giovani che facevano i gradassi, dai cantori di serenate, da quelli delle pastorelle, hanno composto il grande repertorio della comunità, la colonna sonora di Bagolino e Ponte Caffaro.

Questo repertorio musicale locale non è esclusivo della valle del Caffaro ma è patrimonio di tutte le Prealpi Orobiche e forse di tutto l’arco alpino. Poi sono arrivati la radio, i giradischi, la televisione, la modernità e il canto lentamente ha perso la sua funzione aggregante anche se è arrivato ai nostri giorni con un repertorio ridotto.

Fortunatamente la trentennale ricerca sul canto popolare, realizzata a Ponte Caffaro e pubblicata in due volumi negli anni duemila (Anderém di là del mare e Oi che bel felice incontro), testimonia buona parte del repertorio della Comunità.

In questi ultimi anni a Bagolino sono state organizzate le Rassegne dedicate al canto da osteria, con ospiti esterni e di conseguenza la gente è di nuovo interessata a questa antica tradizione e soprattutto è consapevole della sua importanza.

I canti di Natale

Alla vigilia di Natale, il 24 dicembre, al tramonto del sole, le strade di Ponte Caffaro erano percorse dai suonatori. Annunciavano la nascita di Cristo con la musica e il canto della Pastorella, esclusiva della valle del Caffaro. Violini, chitarre, bassi, mandolini festeggiavano la Natività con un repertorio che comprendeva classici canti come Tu scendi dalle stelle, Astro del ciel e Notte placida, ma anche Tachela sö chela poca manèstra e la tipica Pastorèla. Era un uso caloroso e socievole, qualcuno si univa al canto, i suonatori erano accolti nelle case con cibo e vino, venivano scambiati doni in gesti di bontà tali da rinsaldare i sentimenti comunitari e la devozione religiosa.

Un pezzo forte dei canti natalizi era il Gelindo, un vero poema di 73 strofe che è il racconto della nascita di Cristo per bocca del pastore Gelindo. È opera ligure, del poeta ottocentesco Andrea Cereghino, recuperato e conservato integralmente a Ponte Caffaro, ma sconosciuto a Bagolino, che comincia così: «Adamo lui peccò di grande errore/Iddio presto mandò un Salvatore/Egli è nato poveretto/Nella più fredda stagione…».

Riti e usanze musicali quasi uguali si tenevano anche l’ultimo giorno dell’anno e alla vigilia dell’Epifania, quando si cantava la Stella mentre tre uomini vestiti da Re Magi portando una stella di legno e carta percorrevano le strade alla maniera della vigilia di Natale. La questua era il motore della Stella. Con quello che si raccoglieva gli stellari organizzavano una cena con polenta, salame, formaggio, uova e vino. Il gruppo storico della Stella non potendo più gestire la questua e organizzare la cena perse la passione per questa tradizione, oggi non più praticata.

La fienagione

C’era una volta la falce, alleata con il rastrello: con la forza dei muscoli, metro dopo metro, uomini e donne provvedevano a tagliare, raccogliere e immagazzinare l’erba dei prati intorno agli abitati di Bagolino e di Ponte Caffaro.

Era un lavoro lento e collettivo, in tempi soggetti all’andamento meteorologico, perché quando piove è d’obbligo interrompere e quando è secco si ricomincia.

Gli uomini alla falce, le donne e i bambini a spargere l’erba perché si asciughi e, una volta asciutta, a formare piccoli covoni che saranno trasportati nei fienili.

Nelle operazioni di fienagione, tanto indispensabili per l’allevamento di bovini e ovini, si è introdotta la meccanica.

Oggi lavora la falciatrice, più rapida della falce; altre macchine spargono, allineano, raccolgono il fieno, ma la fatica è soltanto un po’ più lieve di quella del passato.

Ma è un lavoro benefico che, oltre a nutrire il bestiame, serve a rispettare la natura, evitare che il terreno inselvatichisca, mantenere il paesaggio verde che è un vanto della valle del Caffaro.

El San Martì (La transumanza)

Tra i pascoli ricchi di erba e le stalle per l’inverno, le mucche, le pecore e le capre di Bagolino (e non solo quelle) celebrano un rito antico di secoli e tuttora vivo: la transumanza. È uno dei più importanti della vita locale, poiché sulla produzione di latticini – oltre che su quella del ferro – si è fondata la prosperità del paese ma, se la siderurgia è sparita dalla valle, l’attività casearia rimane una dei punti di forza della valle del Caffaro. Il formaggio bagòss è una celebrità gastronomica derivata dal latte vaccino, e gli fanno da contorno altre produzioni, dal latte e il burro, alla ricotta, al fiorìcc.

Nella transumanza, la migrazione dalla bassa valle alle malghe fino ai 2000 metri di altitudine, «si corre dietro all’erba» come spiega un allevatore di Bagolino. In primavera intorno all’abitato spunta l’erba tenera, la migliore per il miglior latte e formaggio, mentre sulle cime delle montagne non è ancora nata. A mano a mano che la primavera si avvia verso l’estate, l’erba tenera cresce più in alto e le mandrie devono seguirne lo sbocciare. È un viaggio a tappe, con soste alle altitudini crescenti, fino a quando il sole e il caldo estivo spingono verso le cime.

Per questo la transumanza non ha una data precisa, dipende dalla temperatura, dalle piogge, dal rinverdire dei prati. Alle mandrie locali si uniscono quelle della pianura, accolte dai malghesi, si stipulano contratti per l’affitto delle malghe, per la remunerazione del lavoro; in passato alcune malghe erano parte delle vaste proprietà comunali di Bagolino, mentre ora sono per lo più private.

I contratti di affitto scadono, per tradizione, nel giorno di San Martino, l’11 novembre, ma a quella data le mucche sono già scese a valle. Come quello di andata ai pascoli, anche il viaggio di ritorno comincia secondo le condizioni meteorologiche. Di solito la discesa si colloca tra la fine di settembre e i primi di ottobre. Nelle stalle, dove il bestiame si nutrirà del fieno raccolto grazie al taglio dell’erba estiva nei prati, riparte il ciclo delle stagioni.

Al mite calore della tarda primavera, i pascoli si ripopoleranno e il suono dei campanacci accompagnerà per molte settimane il ruminare delle bestie.