GEOLOGIA DELLA VALLE DEL CAFFARO

Geologia e Morfologia

Guardando la valle nelle vicinanze dell’abitato capoluogo dove svolta bruscamento verso nord, è possibile osservare una marcata differenza nell’assetto morfologico tra il settore nord e sud, diviso da una grande faglia:

  • a nord si ha un versante montuoso a pendenza regolare degradante dal Monte Maniva con pendenza di 20-30°, dove si ha una notevole diffusione di depositi morenico-detritici. Tale versante risulta interessato da una serie di affluenti del Fiume Caffaro.
  • a sud invece il versante montuoso si presenta molto aspro ed impervio, culminando nel Dosso Alto (2065 m s.l.m.). La differenza morfologica è meno spiccata sul margine sinistro della valle, in quanto si hanno maggiori affioramenti del substratro roccioso rispetto ai depositi superficiali.
Nella figura sono messe in evidenza le diverse formazioni rocciose a nord e sud della linea tracciata dalla faglia della valle Trompia. Figura tratta dal volume The “golden spike” of Bagolino, di Schirolli e Peter Brack

Gli strati a sud della faglia, ora quasi verticali, sono di origine sedimentaria e si depositarono in un mare tropicale durante il periodo Triassico (250-200 milioni di anni fa).

Quelli a nord di questa faglia sono costituiti da rocce più antiche, che comprendono scisti metamorfici (pendii del monte Maniva) ricoperti da una successione di sedimenti argillosi, arenarie e conglomerati con intercalazioni di rocce vulcaniche (porfidi) che si formarono in un ambiente continentale durante il periodo Permiano, intorno a 280 milioni di anni fa.

Nei pressi del fondovalle le morfologie sono legate invece all’origine dei depositi  superficiali, dove si hanno:

  • conoidi laddove i versanti montuosi cambiano bruscamente pendenza, mentre in altre situazioni si sono create coperture morfologicamente meno definite, per depositi di origine gravitativa;
  • morfologie a terrazzi, oppure accumuli non terrazzati ma sul fondovalle, per depositi di origine fluviale o fluvioglaciale;

Torrenti minori che sfociano nel fiume Caffaro invece sono all’origine dei coni di deiezione osservabili lungo la valle.

La notevole estensione dei depositi alluvionali di fondovalle, rispetto alle dimensioni dell’attuale alveo del fiume Caffaro, indica che probabilmente in passato il torrente avesse un andamento più meandriforme rispetto all’attuale

Principali formazioni rocciose presenti nei dintorni di Bagolino. Figura tratta dal volume The “golden spike” of Bagolino, di Paolo Schirolli e Peter Brack

Nell’alta Valle del Caffaro affiorano invece le formazioni più recenti di questo territorio: depositi triassici e rocce intrusive terziarie. Da magmi intrusi durante la formazione delle Alpi (40 milioni di anni fa) ad una profondità di circa 10 km si sono cristallizzati i gabbri e le dioriti scure del Cornone di Blumone, le tonaliti del Lago della Vacca e le granodioriti (rocce granitiche) del M. Bruffione. A causa del calore proveniente dalla messa in posto di questi magmi, i sedimenti adiacenti si sono trasformati in marmi bianchi, cornubianiti varicolori e altre rocce metamorfiche.

Nelle vicinaze del lago il territorio bonificato per secoli è essenzialmente formato dalla parte pianeggiante terminale dei detriti alluvionali, estesi per chilometri a monte dentro la val Giudicarie fino a Condino, formata dai due principali affluenti del lago d’Idro, Chiese e Caffaro.

IL CHIODO D’ORO

Il chiodo d’oro di Bagolino è uno dei nove che si trovano in Italia e degli 81 finora assegnati (2024) nel mondo. Si trova a valle del ponte di Romanterra sul fiume Caffaro e, come previsto nella moderna scala geologica internazionale, segna il limite tra due suddivisioni di periodi geologici, il Global Stratigraphic Section and Point (GSSP). Il punto di riferimento è detto chiodo d’oro (golden spike) e in effetti, un chiodo dorato è piantato sulla roccia.

Scrivono Marco Balini e Maria Bianca Cita quando introducono il volume divulgativo The “golden spike” of Bagolino,  (N. 31 – 2011 MONOGRAFIE DI «NATURA BRESCIANA»),  di Paolo Schirolli e Peter Brack che descrive il sito geologico di Romanterra:

«Le montagne e le valli del territorio di Bagolino hanno attirato geologi sin dal 1800, quando l’area apparteneva all’Impero austroungarico. La caratteristica particolare della zona era la ricchezza di tipi di rocce presenti, legata alla posizione del territorio di Bagolino vicino al margine meridionale dell’intrusione del plutone dell’Adamello in cui sono esposti meravigliosamente i rapporti con le rocce sedimentarie incassanti. Ai primi del 1900 vennero segnalati i primi fossili raccolti nella successione sedimentaria della zona, in una località presso il ponte di Romanterra, appena a valle dell’abitato di Bagolino. Questa località venne riscoperta da Peter Brack all’inizio degli anni ’80 e da allora è iniziato un lungo percorso scientifico fatto di studi molto avanzati di macro e microfossili, degli orizzonti tufitici e del paleomagnetismo.
Nel 1991 il sito di Romanterra è entrato ufficialmente nel ristretto elenco dei siti più significativi al mondo per il Ladinico, ed è diventato oggetto di studio da parte di una apposita commissione di specialisti di tutto il mondo, appartenenti alla Subcommission on Triassic Stratigraphy. Questa commissione fa a sua volta parte della International Commission on Stratigraphy, che è l’organo internazionale incaricato di stabilire gli standard mondiali di riferimento per la scala del tempo geologico. La località è stata ufficialmente candidata nel 2002, quindi dal 2002 al 2004 la candidatura è stata sottoposta a verifica ed a una complessa sequenza di votazioni che hanno portato alla decisione finale del 2004. La presentazione scientifica ufficiale è stata fatta nel 2005 e negli anni successivi è iniziato l’allestimento del Geosito con un grosso impegno finanziario sostenuto dal Comune di Bagolino, Museo Civico di Scienze Naturali di Brescia ed il contributo della Società Edison.
Il coordinamento è stato svolto da Peter Brack (ETH di Zurigo) e Paolo Schirolli (MCSN Brescia) in stretta collaborazione con le autorità locali. Il percorso allestito inizia presso il ponte di Romanterra, ed è stato realizzato con un avvicinamento, un ponte, diversi pannelli esplicativi chiari e scientificamente molto corretti, un punto panoramico ed il posizionamento di grossi campioni delle rocce principali della zona e di alcuni modelli dei principali fossili presenti (Ammonoidi). Il percorso si distingue nettamente rispetto ad altri sentieri geologici in Italia per l’ottima coniugazione di chiarezza esplicativa, completezza scientifica e varietàdi campioni geologici visibili, combinate con sicurezza di accesso e brevità, che consentono realmente un accesso alla portata di tutti. Il percorso è stato inaugurato il 18 luglio 2009, alla presenza di autorità locali, scienziati, professionisti e decine di abitanti e turisti.» […}

La scala Geocronologica e la scala Cronostratigrafica

Figura tratta dal volume The “golden spike” of Bagolino, di Paolo Schirolli e Peter Brack

La scala temporale geologica (geocronologica) è utilizzata dagli scienziati per descrivere i tempi degli eventi e la distanza tra il loro accadimento nella storia della Terra. Copre un un periodo molto vasto: dalla formazione del pianeta quasi 4.6 miliardi di anni fa fino ai giorni nostri.

Per i ricercatori che si occupano dello studio dei fenomeni e delle dinamiche del pianeta Terra è fondamentale avere la più accurata conoscenza possibile sulla sequenza degli eventi, sui loro tempi di occorrenza e sulla velocità della loro evoluzione.

Mettere a punto la scala geologica dei tempi è stato un processo molto lungo. Lo studio è cominciato con la nascita della stratigrafia iniziato da Niccolò Stenone (nome italianizzato del cardinale danese Niels Stensen) che fu anche un naturalista, geologo e anatomista del XVII secolo, quando ne ha posto i principi concettuali.

Da quel momento, quando si è capito e assunto a principio che in una successione di sedimenti, se non ci sono evidenti segni di sconvolgimento, lo strato che sta sotto è più antico di quello che gli sta sopra, si fa strada una prima nozione di scala stratigrafica.  Si comincia a stabilire quello che viene prima e quello che viene dopo ma la datazione è affetta ancora da errori grossolani.

Una prima applicazione di questa scala si ha quando, nei secoli successivi si aprì il dibattito su quanto fosse vecchia la terra: da una parte c’era chi, basandosi sull’interpretazione letterale dei fatti narrati nella Bibbia, ne stimava l’età intorno ai 4000 anni; dall’altra c’erano coloro che basandosi sulla geologia affermavano che il nostro Pianeta doveva essere molto più antico, fornendo comunque stime ben lontane da quelle oggi accertate.

Combinando l’osservazione dell’ordine degli strati rocciosi di determinate località con lo studio dei fossili contenuti in essi, i geologi sono stati capaci di mettere a punto abbastanza presto una scala dei tempi relativa a livello globale. Con questa scala era possibile ordinare le rocce e gli eventi geologici dal più antico al più recente.

La svolta si è avuta agli inizi del ventesimo secolo con lo sviluppo delle conoscenze sul decadimento radioattivo di alcuni elementi che si trovano nelle rocce. Attraverso lo studio degli isotopi di elementi radioattivi e la conoscenza del “tempo di dimezzamento”, che per alcuni di loro può essere anche dell’ordine dei miliardi di anni, è stato possibile fornire una datazione assoluta del momento in cui sono stati inglobati nella roccia, marcando in questo modo la sua data di nascita. L’introduzione della datazione radiometrica permise quindi di assegnare l’età assoluta alla già compilata scala relativa confermandone in gran parte la sua validità; fornì inoltre anche le durate precise dei vari intervalli di tempo.

È così che si comprende che l’età della Terra è dell’ordine dei miliardi di anni! Oggi, dall’analisi dei campioni di roccia della Luna portati a Terra dalla missione Apollo, la stima della sua età è di circa 4,4 miliardi. Le rocce più antiche ritrovate sul nostro pianeta e datate con metodi radiometrici sono di circa 4,1 miliardi di anni fa.

Quando lo studio di una sequenza stratigrafica di rocce fa ben ipotizzare che possa rappresentare una serie di eventi accaduti in successione sulla Terra, derivabili da informazioni di carattere fisico, chimico e paleontologico, questa sequenza stratigrafica può essere presa come campione candidato a definire formalmente un certo intervallo di tempo geologico.

La candidatura viene sottoposta all’esame della Commissione Internazionale di Stratigrafia e se quest’ultima ne riconosce la validità e la capacità di rappresentazione, lo istituisce formalmente a livello globale come “stratotipo”.

La Commissione Internazionale di Stratigrafia appartiene all’International Union of Geological Sciences (IUGS) ed è formata da un gruppo internazionale di esperti sulla ricostruzione del tempo geologico.

Il suo obiettivo è quello di affinare sempre di più le conoscenze sulla successione di tempi: esamina le proposte che arrivano dalla comunità scientifica per istituire e definire gli stratotipi, che rappresentano “al meglio” gli strati di roccia di un certo intervallo di tempo geologico, ma anche di definire le sezioni fra gli stratotipi, ossia i limiti che separano due età stratigrafiche adiacenti.

La Commissione Internazionale di Stratigrafia definisce quindi i cosiddetti Global Stratigraphic Section and Point (sigla GSSP), ossia sezioni e punti stratigrafici globali. In parole povere, con un GSSP si mette una “tacca” quotata sulla scala Cronostratigrafica Globale Standard.

La scala Geocronologica si ottiene calibrando in anni la Scala Cronostratigrafica e quindi anche la possibilità di datare tutti gli eventi geologici.

Il geosito di Romanterra

La deposizione delle rocce sedimentarie che oggi si trovano nei dei dintorni di Bagolino è avvenuta (come tutte le deposizioni sedimentarie) per strati orizzontali e la successione attualmente visibile raggiungeva uno spessore di circa 4 chilometri.

Alla base di questa successione si trovano le rocce del “basamento cristallino” , che sono le più antiche della zona. Queste rocce furono deformate, metamorfosate ed erose durante un antico processo di formazione di montagne avvenuto circa 330 milioni di anni fa.

Più tardi, a partire dal periodo Permiano, la superficie del basamento venne ricoperta da una successione eterogenea di rocce vulcaniche e sedimenti. In quel periodo le rocce dei dintorni di Bagolino appartenevano ad un continente che si trovava poco distante dall’equatore, migliaia di chilometri più a sud della posizione odierna.

Figura tratta dal volume The “golden spike” of Bagolino, di Paolo Schirolli e Peter Brack

Con la deriva dei continenti esse si spostarono lentamente per poi arrivare alla latitudine attuale.

La successione eterogenea del Permiano inferiore comprende rocce vulcaniche (porfidi) e sedimenti clastici di vario tipo: siltiti scure, arenarie e conglomerati della Formazione di Collio, che si depositarono in un ambiente caldo, forse desertico, in una larga valle con laghi temporanei. Le arenarie rosse del Verrucano Lombardo (Permiano superiore) invece sono depositi di una vasta piana alluvionale.

Interpretazione della sezione di flessione durante orogenesi alpina a Bagolino. Gli strati originariamente sovrastanti sono attualmente erosi.Figura tratta dal volume The “golden spike” of Bagolino, di Paolo Schirolli e Peter Brack

A partire dal periodo Triassico si trovano i primi depositi marini, i cui strati si formarono in un mare tropicale poco profondo. Soltanto l’intervallo comprendente il Calcare di Angolo, il Calcare di Prezzo, la Formazione di Buchenstein e la Formazione di Wengen rappresenta i sedimenti di un mare relativamente profondo. All’ambiente di piattaforma carbonatica sono ricondotti i calcari (carbonato di calcio) e le dolomie chiare (carbonato di calcio e magnesio) del Calcare di Esino e della Dolomia Principale, che ricordano almeno in parte le scogliere delle attuali barriere coralline e le adiacenti lagune.

Ponte di Romanterra – Appena sotto l’arcata sono visibili gli strati delle rocce sedimentarie del Triassico medio

Le rocce attualmente visibili originariamente erano ricoperte da strati più recenti. Durante la formazione delle Alpi le rocce della Valle del Caffaro vengono deformate, dislocate ed innalzate e, negli ultimi 25 milioni di anni, l’ erosione rimuoverà i diversi chilometri di strati che si trovano al di sopra di quelli oggi affioranti.

Lungo l’alveo del fiume Caffaro, nei pressi del ponte di Romanterra, è visibile in modo esemplare un intervallo di strati del Triassico medio comprendente il Calcare di Prezzo, la Formazione di Buchenstein e la Formazione di Wengen, in cui sono presenti alcuni fossili e tracce di animali tipici di un mare relativamente profondo.

I fossili marini di Romanterra comprendono resti di ammonoidi e gusci di bivalvi utili a stabilire l’età dei vari strati. Inoltre si possono trovare resti di vertebrati, come ossa sparse di ittiosauri (rettili acquatici) e di pesci.

Altri fossili marini, ad esempio minuscoli resti di scheletri di radiolari (organismi unicellulari) e conodonti (apparati masticatori di piccoli invertebrati), sono visibili soltanto al microscopio.

Gli ammonoidi, le daonelle, ma anche le tracce lasciate dagli organismi sul fondale marino sono tipici di un ambiente marino la cui profondità poteva aggirarsi intorno a 100-200 metri. Resti di piante sono presenti come frammenti carboniosi e documentano l’esistenza di vicine zone emerse (isole o terraferma) coperte da vegetazione.

La scala geologica temporale (geocronologica) degli ultimi 542 milioni di anni della storia della Terra (il Fanerozoico) è suddivisa in tre ere (Paleozoico, Mesozoico, Cenozoico) ed ognuna di queste in periodi come per esempio il “Triassico”. I periodi sono ulteriormente suddivisi in epoche e età.

Corrispondenza fra le denominazioni della Scala Geocronologica e quelle della Scala Cronostratigrafica

Alla base di ogni piano viene definito un GSSP di riferimento, anche detto “chiodo d’oro”, individuato in un luogo ben preciso.

Rocce sedimentari visibili nel sito di Romanterra e corrispondente “Età” di attribuzione.Figura tratta dal volume The “golden spike” of Bagolino, di Paolo Schirolli e Peter Brack

Il GSSP di Bagolino, dopo la sua ratifica nel 2005, è stato definito all’interno del periodo Triassico alla base del piano Ladinico, punto di separzione con il piano Anisinico negli strati della Formazione di Buchenstein che affiorano in Romanterra e si colloca ad un’età compresa tra 240.5 e 242.5 milioni di anni come riportano le frecce della figura che indicano l’età di due livelli di tufi vulcanici.

La linea rossa punteggiata indica lo strato preso a riferimento del passaggio tra l’Età dell’ Anisico (più antica) e l’Età del Ladinico, sul posto segnata dalla presenza del chiodo d’oro. Figura tratta dal volume The “golden spike” of Bagolino, di Paolo Schirolli e Peter Brack

Nel mondo i chiodi d’oro (clavette in ottone dorato simboliche) fin’ora stabiliti dall’ICS (International Commission on Stratigraphy) sono 81 e 9 si trovano in Italia (2024), uno di questi si trova a Bagolino in località Romanterra, posto a riferimento del passaggio tra l’Età dell’ Anisico e l’Età del Ladinico .

Il GSSP di Romanterra, noto anche come il Chiodo d’Oro di Bagolino

La scala Cronostratigrafa internazionale aggiornata al 2024 (ICS 2024/12), pone l’inzio del Ladinico a 241,464 ± 0,28 milioni di anni fa. (https://stratigraphy.org/ICSchart/ChronostratChart2024-12.pdf, https://stratigraphy.org )