
ATTIVITÀ
Non c’è lavoro che non chieda l’alleanza delle mani e della mente, ma nel passato e nel presente di Bagolino convivono tuttora mestieri che richiedono più forza e resistenza fisica, alleati dell’intelligenza, che non conoscenze specifiche ed esperienza. nessun esempio è più calzante di quello del formaggio bagòss, prodotto da una catena di mansioni che vanno dall’alimentazione delle mucche nei pascoli, attraversano la mungitura e il trattamento del latte, la cura delle forme con sale e zafferano per arrivare in tavola.
Sono tutte per lo più manuali, chiedono resistenza, pazienza, capacità.Il Novecento ha portato a un’invasione di macchine, che hanno alleviato in parte il ruolo dei muscoli. Soltanto in parte, perché ancora oggi i lavori agricoli chiedono dedizione e fatica, come la lavorazione dei metalli, l’artigianato del legno, la tessitura, ancora vivi sebbene non essenziali come quando ogni oggetto utile era fatto in casa. La cucitura e il ricamo dei cappelli per i ballerini del Carnevale costituiscono un altro esempio di manualità, esperienza, pazienza uguali a quelle dei tempi antichi.
Al lavoro del passato la comunità di Bagolino ha unito nel corso del tempo attività moderne che esigono la sapienza di sempre e la cultura del XXI secolo. Guidare l’elettronica per dare agli assetati l’acqua imbottigliata rappresenta un prodigio ignoto agli antenati. Prendersi cura degli anziani nella Casa di riposo sposa la generosità e l’affetto con la competenza e il titolo di studio.
Nell’angolo un po’ nascosto della valle del Caffaro, Bagolino è parte essenziale del mondo del lavoro in rapido cambiamento, molto più di quanto appaia a prima vista.
Al centro della cultura e delle abitudini della gente della valle del Caffaro si collocano il lavoro e la devozione religiosa. Se la devozione è rappresentata dalle chiese, dalle santelle e dai cimiteri, nonché dai riti e dalle festività, il frutto del lavoro è ben visibile sia nelle cascine isolate sulle montagne (dove non manca l’orto, il deposito di legna e di attrezzi, ma soprattutto lo spazio per la prima lavorazione del latte) sia negli abitati, con i loro edifici laici e religiosi.
Su terreni impervi e scoscesi, la popolazione ha valorizzato le materie prime esistenti: il ferro, la pietra, il legno e l’acqua. Ha trasformato l’erba dei pascoli, nutrimento per il bestiame, in latte, burro, formaggi; il legname in carbone; ha coltivato grano, mais, patata e ortaggi e nobilitato le erbe officinali. Ha utilizzato l’acqua per i campi oppure come forza motrice o per la piscicoltura e da ultimo come bevanda industriale.
Ferro e acciaio
Il circolo virtuoso delle risorse, della produzione e del reddito si avvia in tempi remoti, quando a Bagolino arriva il minerale di ferro dalla valle Trompia, trasportato su slitte attraverso il passo Maniva e conferito al forno fusorio sul bordo del Caffaro. Racconta Bortolo Scalvini nella sua storia di Bagolino che sotto il regno di Augusto durante la campagna contro i Reti «si fecero degli scavi sui minerali del ferro; si fabbricarono fucine e forni in diversi luoghi, avendo anche propizie le cascate del fiume Caffaro» e anche «si selciarono alcune strade che conducono al mone Giogo [Maniva], per condurre facilmente su piccole slitte i ferrei minerali, cavati nei monti di Collio di val Trompia». La metallurgia ha dato per parecchi secoli prosperità a Bagolino, mantenuta a livelli di qualità tanto alti da essere richiesto su mercati lontani.

Come sanciscono gli Statuti della Comunità, il Comune è proprietario del forno, che affitta di volta in volta agli imprenditori locali, dai quali incassa l’affitto, ma ha la responsabilità della manutenzione dell’impianto. Nel 1429 il doge Foscarini menziona l’acciaio della valle Sabbia e ordina che a questo prodotto sia assegnato un marchio depositato. Il metodo per ottenere acciaio ricavandolo direttamente dalla ghisa è l’unico nella valle e severamente protetto; il segreto della lavorazione è noto a chi lavora nel forno fusorio, e ai lavoratori del forno, qualche centinaio di persone quando l’impianto opera a pieno ritmo, è proibito emigrare.

Un documento che porta la data del 1766 rivela che a Bagolino opera «un forno in cui si cava il ferro crudo da purgarsi: alquanti fuochi grossi nei quali viene purgato il ferro crudo e, nella maggior quantità, ridotti in quadri usati dai forni della Valle per fare varie ferrarezze» e gli “acciali” di Bagolino sono venduti nel Bresciano, nel Piacentino e a Milano. La fine della Repubblica di Venezia, la rivoluzione dei trasporti e di nuove tecnologie produttive, nonché l’incendio del 1779, infliggono un duro colpo a questa attività: vengono a mancare le centinaia di braccia impiegate nelle diverse fasi della lavorazione, il ricorso a nuove tecnologie richiede capitali, e la lontananza dalle ferrovie fanno della metallurgia di montagna un’industria meno redditizia.
Eppure si legge ancora nella Corografia d’Italia, ossia Gran dizionario delle città, borghi, villaggi, castelli ecc della penisola, pubblicato a Milano nel 1854, che Bagolino mantiene la sua fama grazie al ferro e all’acciaio: «Borgo della Lombardia, provincia di Brescia, distretto XVII di Vestone, comune con consiglio che forma una popolazione di 3686 abitanti. Giace nella Val Sabbia, sulla sponda sinistra del Caffaro, a breve distanza dal lago d’Idro, sui confini del Tirolo. Nel suo territorio trovansi fonderie ed officine per lavorare il ferro o l’acciajo, e fabbriche di panni». Sul finire del secolo la produzione di ferro è ridotta al lumicino, fino a quando una piena del Caffaro nel 1906 travolge l’antico forno fusorio e segna la fine di questa attività. La lavorazione dei metalli è sopravvissuta in forme diverse e su scala ridotta, nei laboratori dei fabbri e nelle officine artigianali e artistiche del peltro e dell’ottone.
Legno

L’abbondanza di boschi sulle pendici delle montagne ha fornito linfa vitale alla comunità della valle, con la trasformazione dei tronchi in carbone vegetale, con il materiale per la tipica edilizia delle cascine. Nelle architetture bagosse non mancano travi, tetti, solai, porte e finestre o balconi in legno di abete, noce, faggio.
Nelle chiese e in certe santelle spiccano sculture in legno di ogni fattura e raffinatezza. Le cucine, come si può vedere in una loro ricostruzione nella Casa museo, sono popolate di utensili e i magazzini domestici ospitano strumenti per l’agricoltura anche questi in legno. In tempi passati il mestiere di falegname era tra i più diffusi nella valle, e gli artigiani di Bagolino hanno prodotto e producono tuttora mobili e arredi di gran pregio, così come i liutai hanno fatto e fanno tuttora per gli strumenti musicali.
Pietra

Domina nelle architetture tradizionali (e in qualcuna moderna) la pietra diffusa nel massiccio dell’Adamello, una roccia magmatica nelle varietà del gabbro, granodiorite, tonalite e altro.
Ai nostri occhi appare una pietra grigia punteggiata di nero, che mani forti e abili trasformano in cornici di portoni, portali e finestre, in sedili all’aperto, in marciapiedi, in macine, in caminetti.
Il Comune richiamava spesso artigiani, artisti e lavoranti di varie specialità da lontano, soprattutto per la costruzione, decorazione e abbellimento delle chiese: tagliapietre, falegnami, architetti, pittori, organari, doratori, intagliatori.


Non è escluso che questi fossero arruolati anche da privati per le loro case, né che qualche volonteroso e intelligente artigiano locale imparasse i segreti dei tanti mestieri. In un materiale diverso per origine forma e colore, con l’ardesia a scaglie (scae) si ricoprivano i tetti delle case. Il porfido, anche questo diffuso nella valle, si ritrova nei frammenti di antiche sculture vicino alla piazza del Mercato a Bagolino.
Chi è diretto a Ponte Caffaro risalendo la valle riceve un singolare benvenuto dall’enorme masso erratico in porfido, caduto lì in tempi lontani, maestoso come un gigante immobile. Poche decine di metri a monte del masso, sul versante sinistro della strada, Giuseppe Garibaldi è stato ferito dal fuoco amico durante la battaglia di Monte Suello il 3 luglio 1866.
Allevamento
Il nome di Cavrìl, uno dei due nuclei che compongono il borgo di Bagolino, suggerisce la presenza di greggi di capre fin dai tempi antichi (ancora oggi il formaggio di capra è una specialità gastronomica locale). Ma sono le mucche le protagoniste più illustri e operose della vita nella valle, d’inverno ricoverate nelle stalle e d’estate nutrite all’aria aperta dei pascoli, secondo i ritmi della transumanza.

Sono infatti le mucche a fornire il latte che, nei secoli della dominazione veneziana, finiva sotto forma di latticini ai mercati bresciani (sotto il dominio di Venezia, circa un terzo dei latticini venduti a Brescia proveniva dalla valle del Caffaro) e che ancora oggi regala il bagòss, il celebre formaggio di Bagolino, insieme al burro, alla ricotta e altre specialità.

Prodotto gastronomico di estrema raffinatezza, il bagòss esce da un processo di lavorazione regolato in ogni fase da un protocollo preciso e severo: sono ventotto le malghe dove nasce, sulle pendici dei monti a destra e sinistra del Caffaro, dove le mucche si nutrono esclusivamente dell’erba che lì cresce e ne riportano la sostanza e il profumo nel latte e nei formaggi, insieme allo zafferano.

Dall’erba, al latte, alla laboriosa lavorazione, il bagòss si può dire nato quando, applicata la fascia che marchia le forme, viene depositato nelle cantine, e lì dà inizio alla stagionatura. Il suo stesso nome marca una sorta di riscatto per la popolazione di Bagolino: fino all’Ottocento denominati “bagolini” o “bagolinesi”, vengono poi via via chiamati “bagossi”, con una connotazione negativa, forse dovuta al declino del glorioso borgo dopo la fine del dominio veneziano. Il formaggio cancella ogni connotazione negativa e restituisce al paese e ai suoi bagossi la gloria che si era guadagnata con l’industria del ferro.
Acqua

È una presenza fissa e abbondante, qualche volta perfino minacciosa, nella valle del Caffaro, dove ha accompagnato e accompagna tuttora la vita, il lavoro, gli svaghi. Tutto il merito va al fiume che nasce al passo del Termine sulle pendici meridionali dell’Adamello e che nel suo corso, a volte placido e a volte torrentizio, riceve acqua dai ghiacciai, dai torrenti e dai ruscelli.
Scorreva come forza motrice per il forno fusorio, per i mulini, e scorre tuttora nelle fontane di Bagolino, solca i pascoli, alimenta gli abbeveratoi, serpeggia nel piano d’Oneda e consente la pesca e gi sport del lago d’Idro.
Dopo la fine dell’età bagossa del ferro, le acque della valle hanno trovato un nuovo impiego con l’avvento dell’elettricità.
La prima centrale è stata realizzata a Bagolino tra il 1898 e il 1905 e forniva elettricità alla fabbrica bresciana di soda caustica della Società elettrica ed elettrochimica del Caffaro.
Funzionava grazie a una condotta forzata di oltre 4 chilometri che porta l’acqua nel bacino di carico di Monte Suello. Per gran parte del Novecento lo sviluppo dell’industria idroelettrica ha sfruttato la forza delle acque, garantito lavoro e frenato l’emigrazione.
Nel nuovo secolo un diverso uso dell’acqua, quello alimentare, lancia il nome del Maniva nel mondo. Dall’impianto automatizzato e digitalizzato in località Mignano l’acqua Maniva, attinta nella profondità del monte, pura, leggera, con poco sodio, esce imbottigliata e impacchettata.
Assistenza
Percorso dagli eserciti, afflitto da carestie, alluvioni ed epidemie, in tempi antichi Bagolino, grazie alla autonomia garantita dagli Statuti, ha curato l’equilibrio sociale, prendendosi cura dei più poveri e diseredati. Il poderoso edificio che sovrasta il paese, la Casa di riposo è il luogo principale della solidarietà e dell’assistenza. Ha una lunga storia alle spalle, che prende avvio con la beata Lucia Versa Dalumi, detta ai suoi tempi venerabilis domina Lucia de Bagolino priorissa. Lì sorgeva il suo primo convento, via via ampliato e, nel corso dei secoli, trasformato in istituzioni diverse ma sempre con lo stesso scopo di assistenza alle persone.

Alla fine della dominazione veneziana, con l’arrivo dei francesi nel 1797, il convento viene soppresso e diventa una scuola per 218 piccoli bagossi. Dopo il 1785 l’edificio è adibito all’assistenza delle famiglie povere, spossessate dall’incendio del 1779, con il nome di Pio ospitale dei poveri e come Pio luogo di carità diventa un ospedale e assiste i malati. Nel 1806 è un orfanotrofio e durante il resto del secolo affronta la decadenza, sia per mancanza di una classe dirigente capace, sia per l’abbandono e il disordine organizzativo e amministrativo che ne derivano.
Soltanto alla fine dell’Ottocento, nel 1891, si intraprendono lavori decisivi di restauro, con l’installazione dell’elettricità e l’affidamento alle Ancelle della carità, quattro suore che dal 1895 reggono ogni forma di assistenza ai poveri, ai malati, ai vecchi e ai bambini soli. Tre anni dopo sono 45 gli ospiti dell’istituto, e nel 1910 a loro si aggiungono i piccoli che frequentano il nuovo asilo. Dopo la Grande guerra l’ex convento è adibito quasi esclusivamente a ospedale e dopo la seconda guerra mondiale è abbastanza attrezzato per accogliere 117 malati, 372 ricoverati in chirurgia e 40 nel reparto ostetricia.

A partire dagli anni Sessanta tutta l’Italia si modernizza, grazie al miracolo economico che garantisce crescenti risorse economiche e tecniche, l’ospedale di Bagolino si allinea e nel 1978, grazie alla riforma sanitaria assume il suo compito attuale di Casa di riposo che ospita circa 120 persone nelle migliori condizioni, con un nucleo specializzato per i sofferenti del morbo di Alzheimer e un nucleo per le persone non autosufficienti. La nuova composizione demografica italiana, con molti anziani e pochi giovani, impone un adeguamento e nel 2009 viene aggiunta una costruzione moderna all’antico convento dove, a ricordare a generosa fondatrice, restano il sereno chiostro e un ritratto di suor Lucia nell’ingresso.
Liuteria
Nell’archivio storico di Bagolino troviamo poche notizie riguardanti gli strumenti musicali, ma alcuni documenti ci dicono che nel secolo XVI i pifferi di Brescia hanno suonato nella chiesa del paese, che i violini della riviera (Salò) erano presenti alla festa di San Giorgio e che un suonatore di tamburo del carnevale veniva pagato dal comune. Due secoli dopo troviamo altri riferimenti sulla presenza di cornetti, trombe, violini e bassetto.
Probabilmente l’amore per la musica, il divertimento e le tradizioni è stato il motore che ha fatto arrivare il Carnevale ai nostri giorni nonostante le guerre, la povertà e le varie calamità che hanno funestato la comunità, consentendo la trasmissione delle sonate, dei balli e stimolando anche la domanda di strumenti musicali che i liutai locali riuscirono a soddisfare con punte di eccellenza come dimostrano gli strumenti costruiti nel secolo XVIII dai liutai Mora di Bagolino ed esposti nei musei di Copenhagen, Norimberga e Brescia.
Negli anni cinquanta del secolo XX i raccoglitori di anticaglie hanno fatto man bassa nel paese ma fortunatamente Bagolino ha conservato numerosi esemplari di violini, di bassetti, una viola, un raro colascione soprano, un mandolino scavato e tre chitarre battenti.
Molto interessante la presenza delle chitarre battenti in quanto comunemente considerate patrimonio del sud Italia. Purtroppo sono stati dispersi i colascioni bassi, un’arpa e forse altri strumenti non legati al rituale del Carnevale.
Non c’è stata interruzione nella trasmissione orale delle competenze musicali e liutarie fino ai nostri giorni e stupisce che, oltre ai liutai più esperti, si siano improvvisati costruttori per necessità e passione anche contadini e boscaioli.
Fortunatamente questi costruttori non si sono fatti intimorire da quest’arte difficile e raffinata e la prova è che ancora oggi a Bagolino e Ponte Caffaro sono attivi alcuni liutai popolari che sanno costruire, tenere in ordine e riparare i propri strumenti. Ecco perchè, grazie alle testimonianze del passato e agli strumenti musicali ancora presenti ai nostri giorni possiamo con orgoglio parlare di una liuteria della valle del Caffaro.

